Recensioni
GIANFRANCO PALMERY. GATTI E PRODIGI
di Domenico Adriano
«Il sogno col suo lento respiro, il corpo / di
fiamma allungato sulle mie / gambe, sul petto, caldo peso leggero / mimmobilizza».
I lettori di questa rubrica riconosceranno subito questi versi, il Sogno
che un giorno ritornò alla vita e prese «forma di gatto annuvolato
e / annoiato». Una musica sottile distingue le poesie di Gianfranco
Palmery, le rende riconoscibili. «Soltanto i gatti delle favole
/ fanno prodigi?». No, ora ci sono anche i gatti delle poesie che
Palmery ha riunito in un libretto, che si chiama appunto Gatti e prodigi.
Asserragliate, incantate, quindici poesie scritte tra il 1980 e il 1995
hanno chiesto di stare qui insieme: per Luce, per Guendy, per Heidi, per
Narciso. E perché il disegno fosse perfetto, una splendida coda,
Donna con gatta, da Verlaine... Questi sono i giorni in cui potrete
vedere molti gatti abbandonati dai vacanzieri. Né questo meraviglia
nessuno («Tanto sono gatti, se la cavano!»). Così i
poeti come i gatti sono stati abbandonati da sempre, perché si
pensa che vivano di puro spirito. Di Palmery si sa poco. Nessuno si chiede
come vive, nessuno ne conosce letà. Quando compare lo fa
sempre più in silenzio, come uno spirito felino. E silenziosamente
quasi tutti i suoi angelici libri sono stati impressi a Roma, presso le
piccole Edizioni della Cometa che furono iniziate dal poeta Libero de
Libero. Però le poesie di Palmery non somigliano ad altre di questo
secolo: sono ora fiamme infernali che si fanno parole e musica, ora fuochi
invisibili, aerei, vibranti, artigli o battere di ali.
«Avvenimenti», 2 agosto 1998
PROFILI GATTESCHI
di Domenico Vuoto
«Il Grandevetro»
La gattità, voce coniata e adoperata da Gianfranco Palmery in una
poesia del 1980, inclusa nel suo Mitologie, è il compendio
dei caratteri e comportamenti del noto felino. Ma è anche, di riflesso,
il sentimento, la vocazione inconfessata – e puntualmente vanificata
– a impossessarsi dell’anima gattesca da parte di chi il gatto
ama, ne è ammirato e non di rado posseduto. [...] (per
la recensione completa)
A FRIENDLY PAWSHAKE (Un’amichevole stretta di zampa)
di Michele Colafato
Adesso che “gattità” è entrata, con coda di
definizione, nel Vocabolario Treccani passiamo all’esplorazione
del suo ambiente.
Si può e ci si deve aiutare con la poesia di Gianfranco Palmery
dal cui seno la parola “gattità” per la prima volta
“si slancia fuori… per un bagno di luce”, proprio come
quel “gatto fulvo” che “cura la sua faticosa gattità”
, appunto.
E’ il 1980.
Questo gatto il poeta lo dice “demonio infelice che…mi è
figlio e fratello”.
Paternità e fratellanza: sembrano porsi all’inizio della
storia. Ma la storia è una spirale.
La gattità avevo cominciato a sospettarla in alcune particolari
istanze.
Annunciata al telefono dalla voce di Gianfranco scompassata, o sconquassata,
dalla urgenza e delicatezza del trattamento in atto a beneficio di qualche
figlio o figlia, fratello o sorella.
La voce posponeva la chiamata.
Grazie alle poesie ho imparato a guardare il luogo della gattità,
che è quello della lunga se-clusione domiciliare di Gianfranco,
come una casa di prodigi.
Quali?
Quelli di cui è stato prodigo il nostro “marchese di Carabas
spiantato”, con sul suo stemma “un gatto senza stivali”.
Figliolanza e fratellanza, paternità, maternità, sorellanza
si svolgono nelle sale del marchesato in danza meravigliosa, perfetta,
a tratti, per intrecci e per riflessi: compagnie (“sarò un
nume felino, dio e compagno di lunghe ore di sonno e di stupore”),
convenienze (“sempre in cerca di grembo questa nera gatta”),
complicità (“e lì restare in una eterna feria infantile
e ferina”), comparanze (“sono il suo dolce complice, il suo
compare”), concubinaggi oscuri (“nell’ombra insieme
dormiamo”), guardianìe reciprocate (“ben guardati guardiani”),
con-curanze (“io mi curo di lei e lei cura me…un patto d’amore,
reciproco e perfetto”), con-sognanze (“sognerei i tuoi sogni”),
fino alle compassioni, e ai silenzi.
Un accento di liricità domestica dà forma al “piccolo
paradiso precario”: “messo su con gioie di tutti i giorni:
i giochi, i sonni sulle ginocchia e le giravolte rituali intorno ai fornelli”.
Ma subito si svela il suo prolungamento, che non è un inferno:
“insieme, in segreto, sfrenatamente di tutto beffandoci volteggiamo
in mille buffonerie cruente e tenere.”
Intervento alla «Festa della gattità»,
15 ottobre 2014, Roma
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