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Lettere tombali
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Indirizzate a vivi e a morti, fervide e distaccate, amorose
e mortali, le lettere di Jude Stéfan gridano l’orrore di
un’età mediocre e malata, opponendo un soffocato e stoico
porsi in disparte – la vita nascosta, già tombale, solo smentita
dal fervore edificatorio dell’opera, questo a sua volta irriso dalla
coscienza dell’ineluttabile nulla. da Lettere tombali
[...] Vi scrivo da un paese d’inferno, rannicchiato
sotto la neve che qualche bambino si ostina ancora a trovare bella di
biancore. Io so che si trattava un tempo del paradiso, che adesso siamo
relegati dall’età come in una sezione separata di quaggiù,
prigionieri familiari che non cercano più di comunicare. Sfiorita
la giovinezza, morta la madre, non ci furono più notizie da darsi,
poiché più niente di nuovo poteva mai avvenire. Ci fu una
volta la vita – e il rimpianto non è affatto costituito dalla
morte, ma da questo passaggio irrevocabile dei gridi, delle corse, delle
confessioni che non hanno il tempo di fermarsi –, non resta che
un’attesa vana, un camminare a ritroso con gli occhi fissi, poi
intermittenti, poi richiusi su un tempo: il giardino di un tempo, il suo
viale dove saltellavano i pulcini per il vostro piacere mattutino… (Traduzione di Gianfranco Palmery)
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Recensioni FINGERE PER DIRE IL VERO di Sauro Albisani da «Pagine» [...] Se tali vogliamo considerarle, le Lettere tombali sono lettere che smascherano provocatoriamente il paradosso della corrispondenza, semplicemente questo: che non può esserci corrispondenza, nel senso che non ci corrispondiamo, che il carteggio corre sempre fra mittenti mentitori e destinatari contumaci. Come leggere allora queste pagine? Lettere che non arriveranno; lettere che è bene che non arrivino; lettere su cui è stata messa, una volta per sempre, una pietra sopra. Una pietra tombale. [...] (per la recensione completa) LETTERE TOMBALI di Marco Vitale da «L’Indice» [...] Eros e morte sono i temi che hanno caratterizzato fin dall’esordio negli anni sessanta la produzione di questo importante poeta francese, nato a Pont-Audemer nel 1930, da noi ammirato e introdotto da Sergio Solmi che ne curò per primo una raccolta (Guanda, 1979). Una doppia tonalità che si evince fin dalla scelta dello pseudonimo, posto sotto il duplice viatico di Thomas Hardy, quanto al prenome Jude (l’oscuro), e di Joyce; ma, è lo stesso autore a svelarcelo, «nell’antico inglese steorfan vuol dire morire / e se levo via l’or / resta la mia vita incolore».[...] (per la recensione completa)
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