Recensioni
COME AL POLSO IL BATTITO
di Simonetta Melani
«Erba d’Arno», n. 112-113 prim.-estate
2008
Il dono dell’amore fa dono di sé.
Altro non necessiterebbe dire di questo esile libriccino, cosi minuto
e serrato nell’azzurro della sua copertina. Nel primo quarto a sinistra
Ruggero Savinio, un tocco di colore e di oro, quasi una finestrella aperta
sul mondo. È, il bravissimo pittore, un amico di vecchia data degli
intellettuali che facevano capo ad Arsenale, storica rivista
letteraria romana, a metà degli anni ’80, di cui fu redattore
– con Gianfranco Palmery, allora direttore e ora editore de Il
Labirinto – il poeta che qui presentiamo. La finestrella di
Savinio è in sé già prefazione al libro.
Lo sguardo. E come un nodo che ritrova i capi e si stringe in sé,
la poesia di Dalessandro è un volo ronzante, all’apparenza
deviante, che parte da un punto fermo, da un osservatorio – in genere
da una finestra, appunto – e che poi si ritrova facendo tesoro del
raccolto: visioni e parole in pugno, quasi un segreto. Sguardo che annusa
e arraffa e fruga e pesca basso, nel bianco e nero della memoria e che
nell’andare si gonfia di sé come una nuvola. E' un paesaggio
naturale e dell’anima ciò che scova e saccheggia: dalle ombre
vive o defunte del piccolo giardino – microuniverso pulsante, vivaio
operoso e complice compagno esistenziale – all’orizzonte disegnato
dal crinale del Pineto davanti casa, su una Roma mai nominata, ma appena
appena accennata con un tocco d’inchiostro. Una scrittura morbida
e sensuale che apre e chiude, sottolinea e tralascia. Una scrittura elegante
che non urla ma sottace, passa veloce e lascia una scia che resta a noi
segreta. Poi si raccoglie e si ritrova nella vegetazione delle erbe e
dei cuori.
L’eleganza degli affetti consueti, chiusa nella discrezione delle
stanze private, sta appesa come un abito di lino sgualcito ma proprio
per questo più prezioso; sta nella foto di anni or sono, quella
scattata – ti ricordi? – da un passante, tanto per essere
almeno ripresi una volta insieme, in coppia… La coppia. L’affanno
dell’amore strappato alla noia e goduto. I suoni sordi e accaldati
delle casse toraciche aperte sulla verde frescura del giardino, che viva,
con le sue creature, e rigogliosa e profumata, s’intreccia con la
figura dei due amanti nei loro interni: vita rampante unita ai palpiti
e alle aritmie di chi la cura e la vigila. Amore con amore. L’intreccio
è botanico, biologico. Sì, l’amore va curato come
un giardino, ripulito, medicato, rinnovato, nutrito e difeso.
L’amore è un atto creativo continuo e come un’opera
d’arte ha qualcosa di divino se si salva. Amore domestico, il più
caro e il più costoso, quello che si fa tessuto del tuo corpo,
della tua vita, che poggia la testa nel nido della tua storia, l’arruffa
e la rinverdisce. Nessun clamore ma ordinario splendore nel decoro del
lessico, così intimo e intenso e discreto. Un parlare fra noi,
un dirsi senza spiegare che già ci siamo capiti. La calma, l’attesa,
l’impazienza, il tempo del confronto, l’abbandono, i ritorni,
le offese e le ferite, le perdite, i risarcimenti, le carezze e i baci.
L’arte del ricamo ma anche del rammendo. La somma delle complicità
e delle differenze. Le luci e le ombre. Ed ecco brillare nella penombra
la carne, ecco gli affondi e, ancora dopo tanti anni, le moine, i vezzi
del corteggiamento e le pause e i suoni accorti della presenza quotidiana,
la tenerezza che si vizia delle abitudini rassicuranti ma che sa sorprenderci
con improvvisi colpi di coda. Vita coniugale: uno spaccato, anzi sette,
sette lustri di vita, sette poesie incantevoli.
E Francesco Dalessandro le dona a sua moglie, a Dora, nei giorni del loro
anniversario. E la sposa lancia il suo bouquet a noi. E alla fortuna di
chi lo raccoglie.
LA POESIA DI FRANCESCO DALESSANDRO
di Rosa Salvia
da «Polimnia»
Ne Le ore dorate l’inquietudine e il pessimismo
sembrano placarsi lasciando spazio al canto d’amore delicato e sensuale.
Il poeta contempla l’enigma e trae nutrimento dall’amore coniugale
che non è «l’anestetico dei versi»
[...] (per la recensione completa)
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