Roma
della vigilia
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Giovanna Sicari
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Recensioni
del libro Roma della vigilia di
Giovanna Sicari
ROMA DELLA VIGILIA
di Domenico Adriano
Tra i libri freschi di stampa, nel Labirinto, Roma
della vigilia, di Giovanna Sicari, una raccolta davvero singolare
per sintesi e maturità, esemplare nella storia di questa autrice
per la quieta irruenza che la percorre e che viene da lontano, chissà,
forse dalla febbrile infanzia, o da una abbondante eterna adolescenza
che mai lha abbandonata, per nostra fortuna, con il suo carico leggero
e selvaggio, come da fiume o da un torrente, di pathos e di conoscenza.
«Dove siamo? Dove finisce, dove accelera il tempo?», si interroga
un poeta. E una Roma «senza scampo» nel «tormento»
delle strade e delle cupole «leggere nel cielo» piove fuori
e dentro di sé, la sua voce esplode alta nei quartieri (ora nellinganno
della primavera, ora nelle briciole «insensate» che i piccioni
lasciano in ogni dove); intanto un bambino nasce in questo libro o piange
in una stanza, e ogni piccolo avvenimento è un evento epocale,
già la madre senza saperlo, e forse chi scrive, può immaginare
anche di staccarsi dalla sua città, di vivere altrove la sua luminosa
lunga notte della vigilia.
«Avvenimenti», XIII, 65, 16 Marzo 2000
ROMA DELLA VIGILIA
di Elio Grasso
Le nuove poesie di Giovanna Sicari sorgono da una notte
che si è consumata nel mezzo dellItalia, in quel centro comune
a tutte le città, un po stracciato e un po ricco di
energia nascente, astuta. Esse ci parlano di un neonato che piange, di
un diseredato che fugge, di questa umanità talmente ricca di sé
da poter sfuggire alla propria esaltazione. Chi riesca a costeggiare una
strada fino a questo punto porta un fardello di parole che promettono
un vissuto a chi le ascolta. Si tratta di una promessa nomade, ricca di
una forza che spinge i passi, che muove i muscoli dellocchio, che
alla fine sfocia in passaggi veri, comprensibili. Giovanna non si è
mai accontentata di guardare dentro di sé, ha sempre cercato le
linee di fuga che dal nucleo arrivano alle mura della città. Roma,
nel suo caso, è la polis clamorosa che fa rivivere la passione
del viaggio. Roma porta dentro la vita dei piccioni e degli artisti, ricorda
nel tempo attuale che cè stata una vigilia per tutto e, ancora
di più, una poesia che ha tenuto fermo il battito della storia.
Le poesie di Roma della vigilia ricordano una fragilità
intesa come colpi sordi contro le vetrate (quelle di una scuola, di un
convento, di un ospedale); esse ci regalano gli odori della stazione centrale
e la prima stremata fedeltà a unidea. Prima lidea della
scrittura, poi lidea di un figlio, la gravidanza, il parto. Così
arriva laccelerazione del tempo, gonfio di tutte le voglie del mondo,
che il bambino fa sue. Prima delletà adulta nessuna pietà
placa il giorno, e la madre non ha che la preghiera come alleata. Di molti
«momenti placati» si viene a sapere leggendo questo libro,
anteriori alla nascita del figlio e dunque pesanti dattesa,
crudi e posteriori, capaci di respirare laria del bambino,
di riconoscerne gli argomenti estremi. La vita è questa capacità
damare e uccidere insieme, ci dice Giovanna Sicari in pagine quiete
ma tese, con il viso di madre che vuole rallentare il tempo per sé
e per chi ama. Pagine dove ogni goccia di spazio va e viene fra il ricordo
e lacutezza reale di una stanza ancora intera: così diventa
lesperienza principale, questo svegliarsi in un momento di ragione
dato da una casa straniera a Roma, ma amata fin nel midollo, perchè
amata dallo sposo. Landirivieni fra due diverse regioni è
un altro respiro del libro, con qualcosa che cattura di più nella
parte «meridionale» dove il fiato si riscalda, diventa quello
di una studentessa presa nel cappio della malattia adolescenziale, presa
nelle paure scolastiche. Ma se poi si scopre che i resti sono davvero
pochi, in una ciotola piena di mosche? Proprio per questo Giovanna continua
ad avanzare, oltrepassa la polvere e la cenere, raggiunge gli oggetti
che navigano nella notte ma non nascondono la loro tridimensionalità.
Sono oggetti che oggi le raffreddano le mani con un lieve tocco di neve.
Ma queste mani possiedono il dono della commozione, provano ad annunciarla
ai nostri occhi uguali. E così avviene il miracolo che trasforma
un segreto in vita comune, in esperienza creata simile. Roma della
vigilia si accompagna a un altro piccolo libro, La legge e lestasi,
uscito di recente, dove lapprendistato nella vita carceraraia di
Rebibbia (dove lautrice insegna da alcuni anni), nella vita casalinga
della poesia, lascia filtrare linquietudine della vera necessità.
Se la poesia è esperienza irrinunciabile, il diario ci riserva
le ragioni che laccompagnano. In entrambi i libri laccento
cade nei punti giusti, rivelando un «cielo pieno damore»,
sia esso teso sopra Le ceneri di Gramsci o sui turbamenti quotidiani
dellimprigionato. È la dignità trovata nei residui
urbani, quando si ha a che fare con egoismo e arroganza. Giovanna conserva
questa dignità dentro le mura penitenziarie, dove riesce a dare
cittadinanza alla poesia. E con queste idee si affida allascolto
fisico dei rumori che salgono dai selciati, dai cortili, dalle strade,
riducendo la distanza che esiste fra lesterno e la propria stanza.
Il tempo registra il suo passo nei versi di Roma della vigilia
e nelle frasi del taccuino con tutto il credito di una riflessione mai
lasciata al caso, al brutto spettacolo di una presenza che non volevamo.
In ogni caso, queste pagine scuotono le pupille cambiando direzione alle
strade comuni. Anche nella sosta dovuta alla fatica.
«Poesia», XIII, 137, marzo 2000
SOTTOVOCE NEL GIARDINO DELLA POESIA
di Marco Lodoli
Questa non è certo la stagione dei poeti. Altri sono i protagonisti
della scena culturale, attori bellissimi, comici da prima serata, giovani
romanzieri americani, registi di videoclip, sarti internazionali, polemisti
e urlatori a tempo pieno. I poeti stanno in disparte, per indole e necessità,
per timidezza e perché nessuno ha voglia di ascoltarli. Probabilmente
non hanno più la forza per alzare la voce, e se ci provano torna
loro indietro solo uneco solitaria. Eppure quando muore un poeta
il mondo perde qualcosa di importante, anche se forse neanche se ne accorge.
Il poeta vero sa tenere unite cose lontane, sa proteggere con un po
di ombra la vita che questi giorni accesi ustionano crudelmente. E quando
la morte lo prende, un altro pozzo si asciuga e il deserto avanza. Giovanna
Sicari era nata a Taranto nel 1954, ma era sempre vissuta nella nostra
città, e qui la notte del 31 dicembre si è spenta, dopo
una lunga malattia. Insegnava al carcere di Rebibbia e in una scuola media,
viveva a Monteverde e scriveva poesie difficili che il tempo e il dolore
avevano via via reso più limpide, più dirette. Uno dei suoi
ultimi libri ha come titolo Roma della vigilia, edizioni Il Labirinto.
«Oh follemente ero nel vuoto infinito / dellindecisione, volevo
quelle strade / di Roma senza scampo / rinunziavo o le trovavo / le volevo
solo per la mia infanzia / rincorrevo, ringraziavo, pregavo. / Roma e
le sue strade / erano il tormento»: così scriveva Giovanna,
innamorata di questa città a volte troppo sbadata. E almeno unaltra
poesia vorrei trascrivere su questa colonna di carta, per ricordare chi
non cè più, ma anche perché le poesie, quando
sono così belle, diventano un bene per tutti, un giardino dove
camminare insieme: «Gli uomini inseguono gli uguali / nel sonno
relitti alla deriva / sono lì, in quel quartiere. / Lì ho
visto mio padre per sempre: / villa Sciarra 1962, inverno segreto / sole
velato o pioggia di maggio / verdi panchine care sciupate / lì
eravamo uniti, uguali ai mendicanti, / lì mio padre piangeva già
la morte / di sua madre, e avevamo meno di nulla / solo morbose dita,
umidità / una pubblica villa una questione privata».
Ciao Giovanna, e grazie.
«La Repubblica», 4 Gennaio 2004
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