Percy Bysshe Shelley Alla Notte e altre poesie
Traduzione di Gianfranco Palmery
Con tre disegni di Nancy Watkins
2002, 2005 Pagine 52 Euro 8,00
Seconda edizione
ISBN
978-88-89299-16-6
Uno Shelley essenziale e «notturno», lontano
dallimmagine più corrente del poeta di panica eloquenza,
è quello che qui si delinea, per una adesione originaria, si direbbe,
al cuore più oscuro della sua poesia, e alla sua forma più
nitida, da parte del traduttore; il quale non nasconde di preferire allOde
al vento occidentale, le Strofe scritte nello sconforto, presso
Napoli.
«È una questione di tonalità, non di valore
come dichiara nella nota che accompagna questa scelta ; di congenialità
più che di giudizio. Così, ex contrario, fra le tradotte
è potuta entrare una poesia di evanescente passione notturna quale
Serenata indiana e insieme quella vanitas colossale e comica
che è Ozymandias
Del resto, circola una tale raggiante energia nel paesaggio dello sconfortato,
una tale forza nella malinconia della sua consapevolezza (
poiché io sono / uno che gli uomini non amano eppure rimpiangono),
che non si tratta precisamente di una differenza dal giorno alla notte:
di fatto, la sua notte ha sempre uninvincibile luminosità;
la sua tenebra, un ardente splendore.
È rimasto nella mia memoria così per lo più
succede qualcosa come uno spolverio stellare di alcune poesie:
versi o mezzi versi che non hanno mai smesso di scintillare: le traduzioni
sono venute spesso guardando a quelle scintille».
da Alla Notte e altre poesie
Alla Notte
I
Avvìati svelto sull’onda d’occidente
spirito della Notte!
fuori dell’antro offuscato d’oriente
dove hai intrecciato tutto un lungo giorno
di solitudine sogni di gioia e paura
che ti rendono terribile e cara –,
sia veloce il tuo volo!
II
Avvolgi la tua forma in un grigio manto
intessuto di stelle;
acceca coi capelli gli occhi al giorno,
bacialo fino a stremarlo,
poi vaga su città, su terra e mare
tutto toccando con la bacchetta oppiata –
vieni, a lungo cercata!
III
Quando mi sono alzato e ho visto l’alba
ho preso a sospirarti;
con la luce più alta, svanita la rugiada,
il meriggio che gravava su fiore e albero,
e il giorno allo stremo che non si decideva
ospite odioso a togliersi di mezzo,
ho preso a sospirarti.
IV
Morte è venuta, tua sorella, gridando:
vuoi forse me?
Tuo figlio Sonno, soave occhivelato
come un’ape meridiana ha sussurrato:
mi anniderò al tuo fianco?
vuoi forse me? E io di rimando,
no, non te!
V
Morte verrà quando sarai morta,
presto, troppo presto –
Sonno verrà quando sarai sparita;
all’una e all’altro non chiederei la grazia
che chiedo a te, amata Notte –
sia veloce il tuo volo che si avanza,
vieni presto, presto!