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Mutuazioni e sconnivenze Michele Colafato /da Mutuazioni e sconnivenze 1'15 Notizie sullautore
Dello stesso autore
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Amletico e falotico: si potrebbe provare a definire
così l’umore e il tono dei versi di Michele Colafato; senza
impedirsi di notare che i due aggettivi uniti formano l’anagramma
quasi perfetto del nome dell’autore: un gioco, uno scherzo d’alfabeto. da Mutuazioni e sconnivenze
Il camion ha tagliato il traguardo Alla mattina quando Sono venuti a prenderti
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Recensioni Michele Colafato, Da una vena unica di Francesco Dalessandro «Pagine», Anno XX numero 61, aprile – luglio 2010 Tutte le straripanti bellezze / del mondo che hai
attraversato / [...] / Tutte le bellezze del mondo / perché
tu possa adesso passo / dopo passo vedere te stesso. È Il
cavaliere polacco, la prima poesia del libro di Michele Colafato
Da una vena unica; un libro di quindici poesie, ma denso, di
sostanza. Nella breve, asciutta e antilirica descrizione del cavaliere
(chiaro è il riferimento al celebre quadro di Rembrandt): il fustagno
rosso dei pantaloni, il frustino, il berretto di pelliccia, la lunga casacca,
lo sguardo alto, e l’andatura del cavallo attraverso “le straripanti
bellezze del mondo”, elementi essenziali, più di un carattere
che di un atteggiamento, circoscritti in un tempo e un luogo precisi,
eppure misteriosi come l’attesa; nella descrizione del cavaliere,
dicevo, si trovano già dispiegati i motivi della poesia di Colafato:
riflessione, autoironia, conoscenza del mondo, introspezione affilata;
una poesia che ferisce, ma che, come si legge nel risvolto editoriale,
ha “in sé poteri lenitivi”. Alla fine della lettura
mi sono detto che un libro di quindici testi può dare da solo l’idea
precisa di un autore. Perché anche chi non conosca il precedente,
corposo libro di Colafato, Mutuazioni e sconnivenze, uscito nel
2005 per le stesse edizioni, si renderà conto di avere di fronte
un vero poeta. Un poeta d’età matura (che abbia iniziato
tardi a scrivere, o, più semplicemente, che tardi abbia pubblicato,
importa poco), un poeta sicuro e responsabile, con una voce che non mostra
incrinature e nemmeno esibisce falsetti o deliqui, e che perciò
si ha voglia di continuare ad ascoltare. Non ci sono orpelli nella sua
scrittura, non ci sono ammiccamenti, né allusioni o illusioni,
tutto è sentito e sperimentato, concretamente. Ogni poesia, per
solito breve, è il frutto dello sguardo del poeta che scruta nel
profondo della propria coscienza (come lo sguardo del cavaliere di Rembrandt
che, fisso “tra la sfida e il fantasticare”, così è
stato scritto, spazia lontano, attraverso il crepuscolo), inteso allo
svelamento e alla rivelazione di sé; si legga Radiocronache per
farsene un’idea (e quel finale, non si saprebbe dire se più
consapevole o impietoso: […] Piuttosto anelava / soffrendo a
una goccia di silenzio / il mio cuore indurito), o la più
lunga e densa Il sabato. Di queste poesie si apprezza la musica
severa (composta, si potrebbe pensare, per strumenti dal tono profondo:
contrabbasso o corno inglese); decisa la loro cadenza. Leggiamo ancora:
Saranno forse come lampi intermittenti / nelle sere d’estate
dopo il grande caldo / le preghiere interminate che inizi / e non finisci
e illuminano per un istante / l’orizzonte oscuro del tuo compleanno.
/ Forse anche tu ti chiedi: che sono? che fanno? / che cosa annunciano
nel buio questi lampi? Insomma, qui Calafato esibisce chiarezza unita
a sicurezza d’intenti. Solo questa fiducia nei propri mezzi permette,
per esempio, di scrivere “ti amo” tre volte di seguito in
un verso, nella bella Il papiro e il piviere; o una poesia, fra le più
compiute, come La notte della vigilia, una breve scena notturna
– così la leggo – di lindore e commossa bellezza, pochi
versi che spalmano l’unguento lenitivo della tenerezza sui lividi
di un pensiero appena riconciliato con se stesso e che qui, sembra, trova
requie: La notte della vigilia / è la notte della tenerezza
/ per te stesso. Ti affacci / alla finestra e guardi la luna / con rispetto
e con dolcezza, / poi indugi con lo sguardo / sulla terra. Non sei in
alto / né in basso, non hai divi / né diavoli intorno. /
È il tuo mondo, dove tu resti, / uomo tra gli uomini, in mezzo.
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