IL LABIRINTO |
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Dove Goethe seminò violette
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«Chi scrive si proietta in un cerchio memoriale
che si dilata di continuo tanto che i “ricordi” finiscono
per costituire l’equivalente di un vero e proprio alfabeto. Ogni
nome un ricordo ed una storia sottintesa: padre, madre, figli, amici.
La vita si lega a persone che rientrano, ronzando, nel cerchio del poeta.
L’orizzonte si dilata sempre più e il lettore ne è
coinvolto, forse senza avvedersene». Così Alvaro Valentini,
per Bella e Bosco. In questo nuovo libro, Dove Goethe
seminò violette, ancor più i personaggi sono
raccontati nel loro semplice agire. Ma la narrazione qui non accetta diaframmi
e prospetta subito la cifra metamorfica del libro: sostituisce ai paragoni
le sovrapposizioni, fonde persone e cose, presente e passato, realtà
e sogno. Ecco allora che a una bambina fa da specchio la nonna; alla nonna
la sua lontana giovinezza. Alla bambina (giovane spiga) e alla
nonna (infaticabile albero) la natura, viva e partecipe delle
cose degli uomini. Non c’è soluzione di continuità
tra la madre e un olmo (A furia / di dispensare amore, mia madre /
si è trasformata in olmo); o tra la bambina e un fico (Dove
s’era mai visto un fico, / frequentare la scuola elementare).
Se il fico fatto scoprire a una bambina corre, frequenta le elementari
e dialoga con l’ulivo nodoso non si tratta di metafore in serie,
ma di figure. Albero, bambina, ulivo, orto mantengono una loro identità
e al tempo stesso, fondendosi, generano un nuovo senso. In questo libro
dove la bellezza e l’estrema cura formale di Domenico Adriano scandiscono
ogni singolo componimento, è il poeta-ulivo che prova a dirci
cos’è una poesia. da Dove Goethe seminò violette:
Non per la trasparenza
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