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La stanza del poeta

 di Nancy Watkins

 

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Nancy Watkins  The Poet's Room

Nancy Watkins
The Poet's Room

 

Watkins exhibit

 

Watkins exhibit

 

 

Watkins  drawing for Amore e fama

 

Libri

Testo originale a fronte

 

Keats Shelley Amore e Fama

John Keats   Percy B. Shelley

copertina e disegni di Nancy Watkins

Amore e fama

 

Watkins  Visite notturne

Nancy Watkins
Visite notturne

 

Watkins Il fiore è un'idea

Il fiore è un'idea


L'editore

Il Labirinto

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Recensioni del The Poet's Room di Nancy Watkins

The last, whom I love more, the more of blame
    Is heap’d upon her, maiden most unmeek,—
        I knew to be my demon Poesy

John Keats, ‘Ode on Indolence’

 

Guardian Demons III, Conté, 25 x 18 cm

© 1993 by Nancy Watkins

Nancy Watkins  Guardian Demons

IL VIAGGIO DI NANCY WATKINS NELLA STANZA DI KEATS

«Corriere della Sera», 31 marzo, 2007

«Questa stanza è piena di tesori come una miniera». Nancy Watkins, nata a Chicago ma residente da tempo a Roma, ha scelto questo verso di John Keats come epigrafe alla mostra «La stanza del poeta», che prosegue fino al 14 aprile. La stanza del poeta è [...] (per la recensione completa)


NANCY WATKINS

di Mario de Candia

«La Repubblica, TrovaRoma», 5 aprile 2007

Realizzata nel corso di molti anni, la serie di tutt'altro che narrativi, visionari pastelli, acrilici e gouaches dell'artista statunitense ed operante da tempo a Roma, è dedicata a John Keats, dal verso di una cui poesia la Watkins ricalca il titolo della personale.

 

When these enchanted portals open wide,
And through the light the horsemen swiftly glide,
The Poet’s eye can reach those golden halls

John Keats, ‘To my Brother George’

 

Entrance I, Acrylic, 24 x 17 cm

© 2006 by Nancy Watkins

Nancy Watkins  Entrance

CAMERA CON VISIONI

di Sauro Albisani

«Pagine», aprile - giugno 2007


The Poet’s Room è il titolo della mostra di Nancy Watkins che si è inaugurata il 7 marzo 2007 presso la Keats-Shelley House a Roma.
La stanza del poeta è il vano segreto dove poesia e pittura si incontrano: come nel verso di John Keats, che fa da epigrafe alla mostra, “questa stanza è piena di tesori come una miniera”. Il motivo è ricorrente nell’opera dell’artista americana che ha raccolto per l’occasione alcuni dipinti e disegni eseguiti negli anni, estensioni e variazioni del tema, capaci di irradiare nuovi riferimenti e allusioni nelle stanze dove visse brevemente e morì il grande poeta romantico inglese.
I versi di Keats accompagnano, sulle pareti e nel catalogo, le porte, le finestre, gli specchi, i demoni custodi, i fuochi, che costituiscono i momenti del viaggio nella stanza e nella mente del poeta, e i temi dell’esposizione.

Per entrare dentro le pitture che Nancy Watkins ha dedicato a John Keats bisogna passare attraverso una porta che nello stesso tempo separa e unisce due mondi, e che impedendo uno sguardo totale apre tuttavia il cammino della conoscenza.
Sembra che l’esperienza pittorica parta dalla percezione di una contrapposizione, e invece quest’ultima diventa una compenetrazione: “Duality – dice la Watkins – is a central theme, but sometimes arrives on its own accord”.1
Ciò che rende autentico e coinvolgente lo sprigionarsi della visionarietà in queste opere è il fatto che l’accadimento è sempre indagato, cercato e inscenato partendo dal quotidiano, dalla veridica presenza di un mondo fatto di cose e di sostanze di cui il poeta, e l’artista con lui, ha bisogno per spiccare il volo lirico, come del ramo l’usignolo.
Questo il dualismo che l’arte nello stesso tempo vela e rivela. I “portali” si aprono su un vuoto (“the dark void”)2 che non è mai il nulla, piuttosto un grembo fertile di vita ventura nel quale il seme della bellezza trova il suo rivolo di luce, il suo terriccio luminescente, e trasforma la bellezza in verità, officia poeticamente la religione della vita, diventa realmente ciò che prima non era se non nell’immaginazione (“Ciò che l’immaginazione afferra come Bellezza dev’essere verità [...]”),3 impone la propria fiammea epifania nello spazio che si intravede e si intuisce oltre le oblique diagonali del portale stesso, (“[...] sia che prima esistesse o no”).4
Il taglio verticale che si apre nello spazio della tela donde scaturisce il mistero magmatico non del colore ma del divenire del colore, se immagino di imprimere un effetto cinetico alla superficie pittorica, posso figurarmelo come una fessura che lentamente si apre, appunto si svela; un’ostensione che ha in sé una fisiologica sacralità; non la lacerazione di un’icona ma quella di un foglio che mostra come sgorghi dalla carta, nel proprio farsi, la vita vibratile dei colori. E noi? Stiamo guardando attraverso lo spiraglio di una porta socchiusa (come dagli inferi gli etruschi trapassati), o in uno specchio dentro il quale si riflette, ianua animi, l’orizzonte d’un luogo che non abitiamo, che ci abita come nostalgia, illatitudine dalla quale siamo esiliati senza lo specchio (Il Labirinto, 1985) il punto di vista è cruciale nel lavoro di Nancy Watkins. La porta sta per introdurci nella stanza del poeta o noi invece, sedotti, catturati dalla sua appassionata istanza, spiamo l’ignota bellezza del cosmo che il quadro non può comunque capire perché è una superficie chiusa, come un’anfora sulle cui forme un flautista suona “songs for ever new”,5 mentre là fuori, nello spazio dell’essere, la bellezza non è o non è ancora, ma accade, pirotecnica, puro fuoco rigeneratore di forme combuste e capaci di risorgere nella lingua dello “sprite of fire”6 inseguito dal poeta, lingua immemoriale d’un rogo cosmico?
Di fronte al dualismo enigmatico di queste situazioni pittoriche non sappiamo se la stanza del poeta è la fucina della bellezza destinata oltre quella porta a trasformarsi in verità; o se essa non sia un monolite vuoto, l’alveo intatto della verità che è pronta a trasformarsi in bellezza. Incombe il presentimento di un’autoimmolazione necessaria, quasi che la puerpera di tanta vita debba esser disposta a sacrificare la propria per dare alla luce il bello; e quale miglior avallo d’un tal sospetto della biografia del poeta romantico?
L’equazione bellezza-verità è un rito che forse esige il sacrificio dell’officiante. Nelle tele di Nancy Watkins infatti ciò che resta del poeta è la “porta-gabbia” della mente, spalancata la quale il pensiero caparbiamente fugge da se stesso, s’inciela, si rannuvola (le nuvole: nomadi inquilini della stanza del poeta, inafferrabili vocativi), s’illumina, si perde in una sua meteorologia infera e superna che è una fuga senza ritorno.
Restano, guardiani della soglia, i demoni custodi, splendidi vessilli fluttuanti le cui arterie di luce invece di sfregiare il buio come colpi di lama sembrano animarsi per un respiro che dietro il buio prema per uscire assottigliando la membrana dell’oscurità fino a ridurla ad un velo dal quale chi guarda ha l’impressione di poter vedere da un momento all’altro fuoruscire il demone stesso e subito sparire, poiché ciò che lo ha reso percettibile nel dipinto è solo il lenzuolo di tenebra, il sudario della sua cattività.
Inquilino perenne della stanza del poeta è il suo demone, il suo dio: “I knew to be my demon Poesy”.7 Come da un’ignea caverna ctonia, nelle tele di Nancy Watkins dalla stanza del poeta scaturisce quel fuoco che ne abrade le occulte pareti, le sotterranee geografie della mente. Questo mi pare il risultato più stupefacente del lavoro dell’artista: la virtù di mostrare la storia naturale non della veduta dell’occhio ma della visione della mente; la capacità di dipingere senza abuso di miti (non dirò museali ma nemmeno musaici) né simbologie una topografia dell’intelletto poetante che oltre lo spiraglio della sua porta mostra la perennità del dire poetico, vera forma d’immortalità del pensiero che è tutt’uno con la sua eternità nel senso che c’è da sempre, e fa esistere il mondo.
Ogni tanto un mortale si ricorda di aprire quella porta e guardare là dentro, dove egli era già senza saperlo, dov’egli resta quando non è più, e vive, e fa.
Del resto, per come i colori sgorgano dai versi, non sono anche di Keats i quadri di questa cacciatrice d’alisei che soffiano imprigionati per sempre nelle rarefatte trame coloristiche di certe indimenticabili meditazioni in punta di pennello? I fogli che Nancy Watkins ha riesumato da quella stanza sono il verso segreto e non mai apocrifo dei manoscritti del poeta.

1 Nancy Watkins, ‘Duality: Painting the Poet’s Room’, The Poet’s Room, Keats-Shelley House, 2007
2 John Keats, ‘To J. H. Reynolds, Esq.’
3 John Keats, To Benjamin Bailey, 22 November 1817, Letters
4 Ibid.
5 John Keats, ‘Ode on a Grecian Urn’
6 John Keats, ‘Song of Four Fairies’
7 John Keats, ‘Ode on Indolence’



Nancy Watkins
The Poet's Room
con testi di Giuseppe Appella, Gianfranco Palmery, Nancy Watkins
2007 Pagine 48 Euro 10,00

 

Watkins  The Poet's Room

Intervista con l'artista (in inglese)

Edizioni Il Labirinto