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Sulla Fama e altri sonetti

di John Keats

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Sulla Fama e altri sonetti

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Gianfranco Palmery

Gianfranco Palmery legge John Keats / 1'08


Josephine Greywoode

Josephine Greywoode reads John Keats 1'03


Notizie sull’autore

John Keats

 

Dello stesso autore

Sull'indolenza e altre odi

 

 

 

Collana Tarsie

Testo originale a fronte

John Keats
Sulla Fama e altri sonetti
Tradotti da Gianfranco Palmery
Con due disegni di Ruggero Savinio
1997, 2003, 2013 Pagine 40 Euro 8,00

Terza edizione

ISBN 978-88-89299-07-4

John Keats Sulla fama e altri sonetti

Il motivo della fama è antico quanto la poesia. Nel poeta moderno è spesso diviso nella duplice postulazione del desiderio e del distacco. Così è in Keats. La fama come coronamento dell’opera del poeta e, all’opposto, come «bruciante inganno». In quegli stessi anni Shelley cercava di comporre il dissidio e nobilitarla: «Fame is love disguised» – «è amore camuffato la fama» – e i poeti la ricercano come ricercano l’amore. L’amore e la fama sono al centro di questi dodici sonetti – una breve scelta esemplare – nella traduzione esemplare di Gianfranco Palmery, che riesce a trasportare nella lingua italiana l’intensità e l’essenzialità dell’inglese di Keats e, sciogliendo, o riannodando, al suo modo i legami del metro e della rima, la «sofferta bellezza» di quei sonetti.


da Sulla Fama e altri sonetti

Fossi fermo come te, stella lucente –
non sospeso nella notte in solitario
splendore, a spalancate palpebre in eterno
vegliando, insonne eremita paziente,
sul moto delle acque nel sacro ufficio
lustrale ai lidi umani della terra,
o fissando la maschera di neve
appena calata su monti e brughiere –
ma fermo invece immutabile sul seno
del mio amore che in bellezza matura,
sentire come quieto cala e s’innalza,
sveglio per sempre in una dolce smania,
e sempre udendo il suo più tenero respiro,
vivere in eterno o in deliquio morire.

(Traduzione di Gianfranco Palmery)

 

Recensioni

JOHN KEATS – SULLA FAMA E ALTRI SONETTI

di Domenico Adriano

«Here lies one whose name was writ in water: qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua». John Keats (Londra, 1795 - Roma, 1821) prima di morire in una stanzetta a Piazza di Spagna (era giunto in Italia dopo più di un mese di viaggio per tentare con la nostra aria di curare i suoi polmoni, a Napoli aveva dovuto sopportare pure dieci giorni di quarantena nel porto) dettò all’amico pittore Joseph Severn queste parole da incidere sulla sua pietra.
Percorrendo via Marmorata (quando vi troverete a visitare Roma) con alle spalle il Tevere, arrivati a un centinaio di metri dalla Piramide Cestia volgetevi a destra: davanti a voi avrete il cimitero acattolico di Testaccio, affacciatevi quindi dalla strada alla prima finestra (io la chiamo finestretta perché in realtà è solo una fessura) e potrete leggere le parole di Keats sul prato dove il poeta chiese di essere sepolto. Negli anni Settanta, quando conobbi Gianfranco Palmery andavamo spesso nei giardini della parte più antica del cimitero fino alla tomba di Keats. Io vi tornavo sempre appena potevo, per chiacchierare con l’immortalità (facevo il libraio a pochi passi); ma certamente posso immaginare quante volte Palmery raggiungesse da solo il «fratello» poeta per conversare in pace. Solo così mi spiego in parte la bellezza della versione delle dodici composizioni di Keats (Sulla Fama e altri sonetti), tradotte appunto nella nostra lingua da Palmery così magicamente che solo una simbiosi totale, una fratellanza poetica può tentare di spiegare. Credo proprio che per molti decenni questi sonetti con cui il poeta Palmery è stato in compagnia impediranno a ogni possibile umano traduttore di tentare un avvicinamento all’«armoniosa musica» di Keats.

«Avvenimenti», 6 dicembre 1998

 

 

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