IL LABIRINTO
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Papaveri perversi

di Domenico Adriano

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Papaveri perversi

 

Notizie sull'autore

Domenico Adriano

 

Dello stesso autore

Bambina mattina

Dove Goethe seminò violette


Collana Tarsie

Domenico Adriano
Papaveri perversi
Con sei disegni di Giuseppe Salvatori
2008 Pagine 40 Euro 8,00

 

ISBN 978-88-89299-17-3

Domenico Adriano  Papaveri perversi

Ecco un piccolo libro eccessivo, ossessivo, ipnotico – il libro di un manierista e di un miniaturista, che concentra in un solo fiore, il papavero, dilatato a misura di mondo, una folla di simboli per dire l’infanzia, l’amore, il sesso, la perdita e la disperazione, così ricavandone una sua redentrice delizia, poiché questo fiore distilla, con il suo carico vagheggiato di ricordi e d’immagini, un succo riparatore e smemorante nella mente del poeta: è un addormentadolore.
Il fiore che fu caro a Keats, a Govoni – non per caso posti, in limine, a tutela di questo speciale giardino, monocromatico, incantato –, è qui trattato da Adriano con la minuzia elencatoria del Cantico dei Cantici fino a farlo sbocciare – magnifico paradosso floreale e poetico –, nell’immaginazione del lettore, con le dimensioni, mostruose e magnetiche, di un fiore tropicale.


da Papaveri perversi

O rossi papaveri che la mia bambina
scoprì su uno scoglio al grido bianco
di un cigno: siete spuntati una mattina
come il sole dal becco di un uccello.

Papaveri papaveri miei persi
a voi non servono vestiti o versi!
Sale sale fino a farvi belli
il vento che rivolta i vostri ombrelli.

 

Recensioni

Domenico Adriano, Papaveri perversi

di Francesco Dalessandro

Ci sono poeti che scrivono poco e che ritoccano di continuo i pochi versi che producono; che se hanno dubbi non si vergognano di chiedere consigli ad altri poeti amici; che i versi finalmente finiti lasciano a riposare, come un buon vino, in qualche angolo fuori mano della scrivania. Domenico Adriano è questo tipo di poeta. Lavora lontano dai clamori, senza fretta, con pazienza, attenzione, competenza e bravura: lo dimostrano i quattro – solo quattro! – libri che ha pubblicato in un arco di quarant’anni. In tutto, un centinaio o poco più di poesie che, facendo la media, dà meno di 3 all’anno (Caproni, per esempio, rivelò un giorno, a Francesco Tentori e a me, che la sua media era di sette poesie all’anno).
Domenico Adriano fa una poesia nutrita di fatti e di emozioni; egli lavora con le cose, le piccole e le grandi, con le semplici ma forti emozioni che fanno la vita di un uomo, i sentimenti che lo abitano e lo fanno vivere, che siano dolore o affanno, sofferenza o pena, oppure il desiderio e, bene vivo e intenso, l’amore: per sua figlia, come nel precedente libro, il toccante Bambina mattina; o per la sua donna, come in questo Papaveri perversi, piccolo libro luminoso di senso e di sensi che raccomando di leggere gustandone quartina dopo quartina come si gusterebbe la pietanza più saporosa, a cominciare dalla poesia bellissima che fa da proemio.
Leggiamola, quella prima poesia: Forse perché dentro di me / avevo deciso un tuo ritratto, / eccoli nei prati del pensiero / mille e più mille papaveri rossi. // Sotto il cielo di tanta bellezza / sono quasi cieco, ma vedo / meglio adesso, si tratta infine solo / di affinare, come in poesia, l’arte // di togliere, lasciandosi guidare / da ogni fiore se dentro ognuno / di loro c’è già la tua figura, / semplice e perfetta come il fuoco.
Leggiamola bene, perché può rivelarci qualcosa sulla poesia di Adriano; o, almeno, sul suo metodo. Cos’è, per lui, la poesia? L’arte del togliere, l’arte di affinare col fuoco, di temperare il verso affinché corrisponda a quello che, fin da subito, si sente necessario. La poesia è come il fuoco al quale somiglia la figura amata, come l’amore e i papaveri che la racchiudono, «semplice e perfetta» quanto e più di quella reale; semplice perché essenziale; perfetta perché ideale, aderente al ritratto già deciso dentro di sé, come lo sono i papaveri «nei prati del pensiero». Insomma, non è tanto la realtà in sé a dare corpo alla poesia, quanto il suo ideale riflesso, che se acceca, fa però vedere meglio, fa vedere più chiaro.
A seguire, è la musica dei versi che conquista, è la freschezza delle metafore e delle immagini, che brillano e riempiono gli occhi; è il suono delle frequenti ripetizioni che catturano l’attenzione, e al lettore sembra di scivolare in una specie d’incanto, nel torpore visionario e smemorante che proprio il papavero induce: verso dopo verso, quartina dopo quartina, fino all’ultima, nella quale il poeta sembra riconoscere l’inutilità della sua impresa: Papaveri, papaveri miei persi / a voi non servono vestiti o versi, perché quei fiori – belli come l’amore crudele di cui, forse, sono l’emblema – non hanno bisogno di parole: Sale sale fino a farvi belli / il vento che rivolta i vostri ombrelli. Ma il poeta sì, perché tramite le parole – lo abbiamo visto – riconosce il senso della propria storia, si riappropria della vita.
Ai versi di Adriano si aggiungono i bellissimi disegni di Giuseppe Salvatori che arricchiscono il libro di ulteriore finezza ed eleganza.

«Pagine», XIX, 57, dicembre 2008 - marzo 2009

Edizioni Il Labirinto